venerdì 27 luglio 2012

いらっしゃいませ!!!!

L’uscita per raggiungere il mio hotel, il “Sunlight” di Shinjuku, era “Lumine Est”. Avevo il check in alle 12, fortunatamente erano appena le 11 e dalla cartina che avevo stampato non sembrava così lontano dall’uscita della metro. Scesi le scale facendo attenzione a seguire il senso di marcia indicato sugli scalini, trascinando dietro di me la valigia e la borsa piena di fogli e foglietti. Seguivo attentamente tutte le indicazioni per Lumine Est, senza perderne una, se non ero sicura tornavo indietro a leggere, la stazione di Shinjuku era un vero e proprio labirinto, negozi a non finire, persone che correvano a destra e sinistra. Ragazze e ragazzi che scherzando si spintonavano, mi sembrava di essere in un anime. Tutto aveva una luce dorata e l’aria che furtiva penetrava da fuori era fresca e briosa, sembrava tutto perfetto.

Trovai l’uscita dopo una quindicina di minuti, salii una rampa di scalini grigio cemento e pian piano vedevo i tetti dei grattacieli schiantarsi contro un cielo blu intenso. Un cielo limpido e puro. La mia preoccupazione era trovare l’hotel, ma una volta fuori non riuscii a fare a meno di guardarmi in giro, Shinjuku era una giostra di luci, colori, persone e odori di cucina. Trascinavo la valigia e la mia mente era presa da tutto quello che c’era intorno, cabine telefoniche di diversi colori (per chiamare in diverse zone – urbano/interurbano – internazionale) ragazzi fermi sotto una tettoia che fumavano (in Giappone si può fumare solo in determinate zone all’aperto) taxi che sfrecciavano e si sentiva in lontananza un suono piacevolissimo all’udito, scoprii solo dopo che era il “verde” per l’attraversamento pedonale. Di tanto in tanto passavano furgoncini con musica sparata a mille, che presentavano il nuovo brano di questo o quel cantante Jpop o Jrock, passando davanti i negozi si sentiva sempre qualche commessa che con una vocina “mignon” sbandierava un いらっしゃいませ (irasshaimase) una sorta di “Prego siete i benvenuti!”. I ristoranti erano tutti in piena attività e ad ogni angolo sbucava fuori una mega insegna blu a caratteri katakana rossi che indicava un karaoke. Tutto a Shinjuku sembra pieno di vita, le immense e multicolori insegne sembrano ammiccanti, tutto è una trappola per gli occhi. Mi incamminai per la parallela di Yasukuni Dori alla ricerca della traversa fortunata (in Giappone le strade non hanno un nome ma si contraddistinguono con una metodologia particolare che vi spiegherò con calma nelle prossime puntate..se dovessi scordarlo Vi prego di ricordarmelo. NdA) girai un angolo e dal frastuono rombante e fascinoso tipico di una megalopoli, mi ritrovai immersa nel silenzio più assoluto. Beh silenzio assoluto direi proprio di no, poiché a Tokyo, non so se lo sapete, ma ci sono tantissimi corvi, che oltre a fornire un buon sottofondo gracchiante, sono davvero belli grossi!
Comunque mi ritrovai un scenario completamente diverso, ero davanti al Tempio Hanazono (Jinjia Shrine) che come indicava la mia cartina era vicinissimo all’hotel, effettivamente bastava guardarsi intorno e avrei subito visto l’insegna, ma ero troppo presa dal primo tempio in cui mi imbattevo. Bellissimo, c’erano pochissime persone e ognuna era presa in un rituale diverso, ci sono diversi templi, alcuni sono shintoisti ed altri buddisti la differenza la fa il loro interno. Quello che comunque caratterizza tutti i templi sono i Tori che troverete ovunque, i Tori sono delle porte sacre e non vanno mai attraversati passando per il loro centro, perché quello è il passaggio riservato agli Dei. Vanno attraversati in entrata tenendosi sulla sinistra e in uscita sulla destra, ma posso assicurarvi che i due sensi di marcia li ho spesso confusi (probabilmente anche ora eheheheh). Feci un giro all’interno ma non mi trattenni molto, con la valigia sui ciottoli diciamo che non passavo proprio inosservata; quindi sentendomi fissata in modo poco piacevole, decisi di avviarmi verso l’uscita e proseguire la ricerca. Una volta fuori mi è bastato davvero alzare lo sguardo e vedere l’hotel che mi aspettava, non vedevo l’ora di lasciare tutto, darmi una sistemata e partire alla volta di “Harajuku”.
In hotel furono tutti cortesissimi, mi diedero la mia camera, la n°109, lo ricordo ancora perché nonostante curassero molti clienti stranieri, il parlare inglese è abbastanza ostico per i giapponesi, quindi quando dicevo “one hundred and nine” mi guardavano con aria perplessa, allora per agevolare l’impresa dicevo “one-zero-nine” e così ogni volta che rientravo, se trovavo lo stesso portiere mi sorrideva e senza indugi mi porgeva la chiave; dotata di un mastodontico portachiave.
Dalla mia finestra si vedeva la via del tempio, e si sentiva benissimo il gracidare dei corvi giganti, lasciai la valigia, mi sistemai un po’ la faccia (che dopo 12 ore di volo era più simile ad un’ opera di Picasso) e poi scesi sotto intenta a prendere la Yamanote e ricaricare la mia “Suica”che sostanzialmente è una carta pre pagata per i viaggi in metro (Vi regalerò una chicca sulla Suica nella nota successiva NdA).

Shijuku è stata casa mia per ben 12 giorni e ritornerò spesso a parlavi di lei...Ve lo posso assicurare, giustamente questo è solo un piccolo assaggio. 



*Velia*

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